L'Escondut
“Il loro tronco, ampio e curvo, è un invito a tracciare segni (…)”
(da Breve storia degli alberi da lettura di Giuseppe Barbera)
L’Escondut è l’opera di restituzione della residenza “Beica Ben” in valle Grana in provincia di Cuneo; è un’installazione che si pone tra la fantasia popolare occitana e l’ambiente, un'opera diffusa che si fa percorso e invita alla partecipazione percorrendo il sentiero che collega il Filatoio Rosso al Bioparco Acqua Viva a Caraglio (CN): attraverso boschi e meleti, piccoli dislivelli e terreni diversi, è forse possibile vedere l’escondut, una nuova creatura delle storie occitane. L’escondut non ha forma se non negli occhi, che osservano nascosti tra i rami. Lo si può vedere guardando gli alberi con attenzione, alla ricerca di piccoli o grandi occhi rossi disegnati a vernice su oltre cento tronchi che presentano sulla corteccia quella conformazione di crescita dalla caratteristica forma di occhio, mentre si cammina in una specie di vigile passività, rallentando il passo per volgere lo sguardo più in alto rispetto alla prudenza dei piedi: "(...) è così che lo vedi: se sei aperto alle novità, se scegli di andare avanti anche se non sai bene dove porta la strada, se accetti di poter cadere, se pensi che anche quel che è un po' nascosto possa essere importante. Allora lo scopri, lo vedi, l'escondut, e lui vede te", spiega la storia. Ammettere che la vita si muove nello stesso modo, come ricerca precaria che cammina in avanti nell’ignoto, significa dare importanza a ciò che non è immediatamente chiaro, alle cose che non hanno un tornaconto pratico e quantificabile, che capitano quasi come un incidente furtivo.
L’opera diffusa L’Escondut è una dichiarazione d’appartenenza a un orizzonte che dà valore al non visto, a ciò che sembra non controllabile, la cui natura è quella di risvegliare il desiderio di un’esistenza più cangiante, attenta al contingente, in perenne ridefinizione.
installazione site-specific sul “Sentiero Bioparco Acqua Viva (sav) - Filatoio Rosso” (Caraglio, CN), pittura atossica rossa su alberi. Narrazione di Caterina Ramonda.
2023
ph. Mattia Gaido
Selected projects
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.