Strùere:
“Strùere” è una parola latina che si può tradurre con ‘costruire’, ma anche con ‘ammucchiare’. I due punti presenti nel titolo dell’opera pretendono una specifica, una conseguenza; introducono e dimostrano. I dittici fotografici accostano due immagini di natura differente, con l’intento di creare ciò che sta dopo i due punti. Le capanne fotografate nelle panoramiche in bianco e nero sono dei rifugi precari che sembrano nascere per il solo piacere di costruire: il fiume Ombrone, in Toscana, ha un letto particolarmente sedimentoso a causa della forte erodibilità delle formazioni argillo-sabbiose dei terreni su cui scorre; questi non riescono a trattenere gli argini, per cui l’Ombrone è un fiume ricco di tronchi e arbusti che trasporta fino alla foce, ma la corrente e le onde del mare li trascinano a riva, dove si sedimentano. Con i tronchi abbandonati l’uomo ha l’istinto primo di costruire delle capanne.
L’artista ha accostato queste fotografie con stampe da diapositive che recupera e colleziona andando a costruire un archivio personale di immagini abbandonate. Esse rappresentano degli spaccati di vite anonime nei cui gesti e scenari, proprio perché inseriti in quell’anonimato, ci riconosciamo.
Le prime raffigurano dei rifugi costruiti con dei detriti, le seconde sono esse stesse detriti.
Sulle fotografie sono stati eseguiti degli interventi di acqua e calce, noto materiale da costruzione. La soluzione è pazientemente stratificata in innumerevoli velature sui tronchi e sulle braccia dei personaggi raffigurati.
La vita si identifica nel costruire, che di conseguenza è metafora della sedimentazione delle esperienze attraverso il lento assorbimento della memoria delle cose.
6 dittici con stampe Fine Art da negativi b/n e diapositive, acqua e calce
157,5x56,5 cm. ciascuno
2016 – 2017
Selected projects
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.