Blues
“La suggestione delle farfalle non nasce solo dai colori e dalla simmetria: vi concorrono motivi più profondi. Non le definiremmo altrettanto belle se non volassero, o se volassero diritte e alacri come le api, o se pungessero, o soprattutto se non attraversassero il mistero conturbante della metamorfosi: quest’ultima assume ai nostri occhi il valore di un messaggio mal decifrato, di un simbolo e di un segno”
Primo Levi, Le farfalle, in L’altrui mestiere
La farfalla è simbolo di metamorfosi, di cambiamento, condizioni intese come momenti di indeterminazione, instabilità nelle quali però la vita è possibile. La metamorfosi non è un’eccezione, è la norma; la vita è processo e trasformazione, cambiare è la materia stessa della sopravvivenza. Il cambiamento, nella sua delicatezza e nella sua brutalità, è un’opportunità non solo di adattare e trasformare il mondo, ma anche di far fronte all’imprevedibilità.
Le farfalle, insieme alle falene, appartengono al secondo ordine più numeroso tra gli insetti viventi, cioè i lepidotteri - una parola che deriva dal latino scientifico lepidoptera, a sua volta derivante dal greco lepís, “squama” e pterón, “ala” - gli insetti con squame sulle ali. Nel XVII secolo lo studio delle farfalle ha rivoluzionato la nostra comprensione della natura e ha posto le basi dell’ecologia: la conoscenza del segreto della metamorfosi delle farfalle ha aiutato a capire come opera l’evoluzione, come le relazioni con altri esseri viventi sia alla base della vita sul nostro pianeta, come dagli incontri si viene imprevedibilmente trasformati.
Il progetto Blues prende ispirazione da un ‘film scientifico’ del 1911, “La vita delle farfalle” di Roberto Omegna, una pellicola che mette in scena la metamorfosi dei bruchi dapprima in crisalidi e poi in farfalle. Questo materiale d’archivio, conservato alla Cineteca del Museo Nazionale del Cinema, ha una parte imbibita (prima dell’introduzione di una vera e propria cinematografia a colori, le pellicole venivano colorate fotogramma per fotogramma con procedimenti manuali; l’imbibizione è un processo fisico nel quale le pellicole già sviluppate vengono immerse nella tinta che colora le parti più chiare e quelle scure rimangono nere) blu che mostra la Parnassus Apollo e la Vanessa Anthiopa, due farfalle che volano ad altitudini montane, ma mentre la prima ama gli spazi aperti in pieno sole, la seconda preferisce le zone boschive in ombra. Luce e buio non sono principi in lotta, essi sono complementari e mutualmente correlati, sono entità che si alternano con regolarità in un momento di passaggio, di mutamento nel quale la luce blu pervade in maniera diffusa. Forse è per questa ragione che Omegna ha deciso di dedicare a queste due farfalle il colore blu.
Le composizioni fotografiche del progetto Blues sembrano mostrare uno sciame, ma si tratta sempre delle stesse farfalle, in questo caso le Parnassus Apollo di Omegna, immortalate nel fermo immagine dei fotogrammi che dichiarano il cambiamento impercettibile del tempo e dello spazio; questa composizione polifonica prova a condurre al di là dei piccoli mondi alati racchiusi in una squama per entrare in un insieme fatto di complessità e ripetizione cangiante.
Guarda qui "La vita delle farfalle" (Roberto Omegna, Società Anonima Ambrosio, Torino, 1911)
stampa Fine Art su carta baritata Hahnemühle Photo Rag Baryta 315
80x80 cm.
2023 - in progress
Selected projects
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.