Fragile Citizens
Fragile Citizens è una serie fotografica che si compone di scatti a riproduzioni di sculture classiche illuminate da una luce ultravioletta, solitamente usata in archeologia e restauro per rendere visibili le imperfezioni o la presenza di materiali non originali. Le copie in gesso in gipsoteca, nella loro evidente fragilità, sembrano apparentemente ‘perfette’ sotto la luce ultravioletta, secondo il suo convenzionale utilizzo.
Il termine ‘perfezione’ ha come sinonimi, tra i tanti, compiutezza e esemplarità, inimitabilità. Il contrasto tra la natura di queste figure, che sta nella loro riproduzione in duplicati, e il concetto di perfezione resta sospeso intorno a ciò che si intende per valore: il valore è la perfezione? O possiamo intendere la fragilità, elemento costitutivo del presente, come una virtù, un valore, che si risolve nel cambiamento?
Il mutamento avviene quando, per qualche motivo, ci si trova in una condizione più a rischio, nella quale si è più deboli, più fragili. Se operiamo esclusivamente secondo le logiche della realizzazione, della compiutezza, dell’eccellenza e dell’utilità, della ‘perfezione’, perderemmo l’accesso a tutte quelle modalità di senso che tengono conto dell’imprevedibilità, dell’instabilità e della vulnerabilità, secondo cui reagiamo e creiamo relazioni: “(…) la natura imprevedibile del tempo, spaventa, ma pensare attraverso la precarietà evidenzia anche che l’indeterminazione rende la vita possibile” (da Il fungo alla fine del mondo. La possibilità di vivere nelle rovine del capitalismo, di Anna Lowenhaupt Tsing).
Grazie a Gipsoteca Mondazzi.
6 stampe dirette UV led su vetri float 5 mm., colori;
95x63 cm., 84×56 cm., 72×48 cm., 63×42 cm.;
2022
Selected projects
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.
Silvia Margaria passa tre anni all’archivio film della Cineteca del Museo Nazionale del Cinema di Torino, nel settore ispezione e catalogazione pellicole.
Quest’esperienza lavorativa è stata fondamentale per formare la sua attuale ricerca artistica: il modo attento di approcciarsi alla memoria e alla narrazione di identità del passato, e lo sforzo di portare lo sguardo oltre il proprio ordinario affaccendarsi, hanno attivato pratiche che formano un’attenzione più acuta verso le contingenze, le intermittenze del caso, le allusioni e i frammenti, la precarietà e la fragilità. La sua metodologia di lavoro dà importanza al dialogo e alla partecipazione con altre tracce visive, tenendo conto del rapporto tra gli opposti intesi come tensioni compresenti, dell’esperienza di relazione con la memoria, della complessità del rapporto tra uomo e ambiente. La sua ricerca si imposta su un ritmo che fa della lentezza una metodologia d’azione, per far sì che l’attenzione possa manifestarsi in maniera aperta, misurata e responsabile.
“La frizione, tra una natura che si mostra e allo stesso tempo si ritira nella sua parte più essenziale, è il segreto stesso della natura, ovvero la ragione invisibile di cui il mondo è manifestazione. La poetica di Silvia Margaria si posiziona sulla soglia di questo punto: l’artista cerca la parte impercettibile della natura e indaga il suo processo di apparizione con un lavoro di osservazione mosso dal desiderio di capire il mistero della vita nel suo fluire. La sua ricerca, coerentemente con ciò che esamina, si configura nell’ambiguità degli opposti (per esempio: dispersione/concentrazione – nascondersi/palesarsi – cercare/trovare – uno/molteplice – solitudine/collettività – comunicazione/relazione – memoria/oblio – resistenza/cambiamento) relazionati, più che per reciprocità divergente, attraverso l’elaborazione della proprietà transitiva dei concetti, in modo che dal nesso dialogico si possa trarre lo stesso moto consequenziale che caratterizza il naturale divenire delle cose”.